Sono uscita arricchita e con la
mente in fermento dalla bella conferenza del Prof. Salvatore Settis, “Democazia
e/è territorio”, tenutasi al Centro Allende stamattina alle 11:00, nel quadro
della manifestazione “Parole di Giustizia”, che è in corso alla Spezia.
Il prof.
Settis ha ribadito la complessità della nozione di Paesaggio (indissociabile da
quelle di Territorio e Ambiente), l’essere il Paesaggio un bene comune da
preservare e tutelare nella sua dimensione storica anche per le generazioni
future, e ha sottolineato la difficoltà di difendere tali diritti a causa della
giungla legislativa e amministrativa italiana, che vede tra l’altro ministeri e
istituzioni diversi non collaborare ma spesso confliggere nei compiti di tutela
sanciti dalla nostra Costituzione. L’art. 9 recita infatti: “La Repubblica
promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela
il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
Alcuni dati
forniti da Settis, come ad esempio il fatto che, a fronte di una natalità dello
0,4%, nel nostro paese si edifichino in media 161 ettari al giorno, con
una mole annuale di cementificazione che equivarrebbe a un appartamento di 38
vani per ogni nuovo bambino, fanno capire che il territorio è erroneamente
inteso come una risorsa passiva, inesauribile, mentre noi sappiamo che così non
è: viviamo in territori sempre più urbanizzati, omologati, de-storicizzati,
scempiati. Se tanto dissennato edificare non è riuscito a salvare la nostra
economia, significa – osservava Settis - che l’edilizia non è un motore economico,
anche perché essa serve in molti casi a provocare soltanto benefici fiscali, ad
alimentare clientelismo, corruzione e connivenze mafiose, restando poi clamorosamente
invenduta, vuota, inutilizzata. Solo una democrazia reale, l’esercizio di una
cittadinanza attiva possono in qualche modo tentare di imporre un cambiamento.
I cittadini
devono vigilare ed esprimere la loro volontà. Settis ha ricordato un nostro padre
Costituente, Giuseppe Dossetti, il quale, non ancora sacerdote, lottò senza
successo per includere tra gli articoli della nostra Costituzione quello che doveva
essere l’art. 3 e che così recitava: “La resistenza, individuale e
collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e
i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni
cittadino. È questo l’abituale principio della resistenza, logico corollario
dei due articoli precedenti.”
La resistenza collettiva di fronte alle
violazioni di quanto garantito dalla Costituzione, quindi anche della tutela
del paesaggio e del patrimonio storico e artistico, è un irrinunciabili
diritto-dovere di ognuno di noi.
E adesso
parliamo di cose nostre: nella nostra città è stata approvata dal Comune una
delibera di rifacimento delle scalinate Quintino Sella e Cernaia, con
stanziamenti di 200,00 € per la prima e 600,00 € per la seconda. Quella
della Cernaia è una splendida scalinata del 1904, con alberi storici di rara
bellezza. Se ne prevede lo scoperchiamento totale e il rifacimento, se pure con
l’assicurazione di riutilizzo (per quanto possibile) dei materiali esistenti.
L’opera prevede anche l’abbattimento degli alberi (quasi tutti!) e la loro
sostituzione con giovani esemplari. Il Comitato “Salviamo gli Alberi della
Cernaia”, costituito da semplici cittadini, ha più volte manifestato il suo dissenso,
chiedendo che gli alberi vengano piuttosto messi in sicurezza, dove necessario,
per rispetto alla loro storicità e monumentalità, ma ci stiamo scontrando
contro un muro di gomma.
E come confidare
che i lavori di “rifacimento” vengano eseguiti nel pieno rispetto delle
caratteristiche attuali, risalenti a inizio Novecento, quando (tanto per fare
un esempio) - passando da via Prione davanti alla costruenda Scalinata Quintino
Sella - si può “ammirare” il nuovo muretto corrimano di destra, realizzato con
un finissage di arenino, rasato ben bene e di colore bianco? Edilizia spicciola
e pasticciona, a fronte del vecchio muro di sinistra (passate a dirgli addio prima
che sparisca!) che ha l’unico “difetto” di testimoniare il trascorrere del
tempo, di parlare del passato. Ma la memoria forse fa male ed è meglio
circondarci di scenari anonimi, omologati, insignificanti, intorno a quali è
impossibile ricostruire un senso di appartenenza. Forse è questo che ci
volevano dire parlando di Spezia come “città che diventa grande”? Spazzare via
ogni traccia del passato? Rifare invece di restaurare?
Molti
cittadini hanno già il dente avvelenato per la sostituzione della tettoia Liberty
di piazza del mercato con l’obbrobrio mastodontico che offende i nostri occhi
ogni giorno, per Piazza del Bon privata della sua ombra e ridotta a una
maquette da scenarietto virtuale (vengano i nostri amministratori, a
ferragosto, ma in minigonna o in calzoncini corti, a sedersi sulle panchine a
strisce metalliche, e faranno la fine di San Lorenzo sulla graticola, visto che
sono stati scelti appositamente alberi senza chioma!), e per molte altre
“grandezze” (da una parte le Terrazze, dall’altra il manifesto gigante della
Confcommercio a difesa dei piccoli commercianti…; per non parlare della grande
“spada” sproporzionata del molo Mirabello che ci ha privato per sempre della
percezione del braccio destro della costa e che offende di notte, con le sue
luci oscene, il buio del golfo, forse l’ultimo residuo di poesia dei luoghi che
ancora rimaneva alla città).
Dicevo: molti
cittadini hanno già il dente avvelenato. Credo che (anche) sulla Cernaia si
giochi la credibilità dei nostri amministratori e tecnici circa la “Tutela del paesaggio e
del patrimonio storico e artistico” garantita dall’art. 9 della Costituzione:
c’è da auspicare che la cittadinanza vigili affinché questo pezzo della nostra
storia rimanga tale e non si trasformi in un insulso rifacimento post-moderno.
Comitato “Salviamo gli Alberi
della Cernaia. No al taglio!”
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